(esperienza personale a prova d’errore)
di Luca Scarabelli
Provare A prova di scemo è attivare una nota metodologia per capire cos’è la scultura o comunque per farsi qualche domanda in più sulla sua specificità, sulla dialettica tra materiale spazio e corpo, dopo che la scultura è morta o si dava per morta.
La procedura è questa.
Avvicinarsi alla scultura A prova di scemo e guardarsi attorno (percezione).
Salire sulla scultura A prova di scemo (è diverso dalla proibizione di non toccare la scultura).
Ergersi in equilibrio, abbastanza stabile, e assumere una posa plastica a piacere (freestyle).
Orientarsi nello spazio della scultura (autopercezione).
Mantenere la posizione quanto si vuole ed eventualmente variarla (atto performativo).
Scendere dalla scultura A prova di scemo (distacco).
Guardarsi attorno ancora una volta (interrogazione).
Alternativa per sentire l’assenza del corpo: guardare la scultura A prova di scemo e per non rischiare nulla, allontanarsi (atto conservativo).
A prova di scemo si direbbe una scultura piedistallo, quando la scultura ha abbandonato il piedistallo ormai da tempo. In realtà A prova di scemo mette alla prova l’idea stessa dello stallo. Una forma plastica in stallo? C’è un che di fisico nel provarla per anticipare l’idea di un possibile movimento. Che diciamolo subito non ci sarà.
La scultura, quasi da sempre ed eternamente, a parte qualche risultato che si trova scorrendo il ’900, è da considerare una sorta di paracarro, non si sposta e non si muove, ci si muove intorno invece, puoi starci vicino o lontano, qualche volta dentro, ma lei è sempre lì nello stesso posto.
La scultura di Umberto sottolinea questa tendenza, ma tradendola nella sua attitudine, la strattona e gli dice stop. Gli fa il verso. È ferma, bloccata, ma vorrebbe muoversi. Altre sue sculture si muovono in effetti, con movimenti a volte bruschi e altri lentissimi, altri da accompagnare, altri inaspettati… sopratutto nei lavori in cui misura le distanze tra noi e le cose, tra le cose e lo spazio che occupano attraverso elementi potenzialmente attivi.
Su questi pattini a rotelle, possiamo chiamarla anche così questa scultura in libertà e amicizia (nel tempo Umberto ha usato questi due titoli per indicare questo lavoro), non ci si muove, casomai ci si mette alla prova come stupidi per tentare di muoversi. I pattini di solito quando sono pattini e non interpretazioni di pattini sono protesi del corpo che permettono di accelerare lo spostamento, di accorciare il tempo e lo spazio nell’attraversare i luoghi. Basta non scivolare e non cadere.
Con questi pattini la prova fallisce in anticipo. Sono pattini dell’impossibilità.
Questa impossibilità trasforma il “passeggero” in statua, con la possibilità di muoversi ma stando attenti e fermi sul posto. Si stabilisce un contatto. Ci si fa idealmente centro, sei lì e posi come in una abbozzo. Sei un disegno della scultura, condividi lo stesso spazio, sei un volume della scultura anche se tu non sei “scultura”, nemmeno per un minuto…Intanto ogni lavoro è una coppia di pattini, uno per piede, giusto come ci si aspetta di trovarli. Il richiamo è ai pattini tradizionali ad uso ricreativo, quelli con la disposizione delle quattro rotelle a quadrato che permettono di muoversi sul terreno, correre e fare evoluzioni. La produzione prevede esemplari in acciaio Cor-Ten e altre in marmo di Carrara, all’origine con prototipi in acciaio zincato. Sulla superficie di appoggio è riportato un numero relativo al numero di scarpe (ho provato A prova di scemo con il numero 43½, che poi mi stava leggermente grande, ma era comodo starci su), quindi sono fatti su misura. La posa che ho cercato di interpretare nel mio starci è stata quella un po’ in fissa, a memoria come nelle fotografie di August Sander. Meglio, ne ho cercato l’atteggiamento, la pausa, per non farmi trasportare in situazioni più articolate. Giusto con qualche accorgimento in preparazione all’incontro, con un outfit dedicato che richiamasse uno strano mestiere: t-shirt rovesciata, grembiule macchiato, gambe e piedi nudi. Una cosa oggettivamente alla Sander quindi, con sguardo ieratico e distaccato quanto basta. In quel momento ho pensato che è un’opera che fa muovere lo sguardo, il mondo lo guardi dal suo posto e fissi la percezione. Il peso si alleggerisce, sei sul bordo dell’im-spazio.
Questo lavoro diciamocelo, è un colpo magistrale all’interno dell’opera tutta di Umberto Cavenago. O comunque a me è sempre piaciuto molto, anche il titolo, con quel riferimento sommesso al mondo del lavoro, della produzione e della progettazione cari ad Umberto, a prova di scemo come dire a prova d’errore… una prova sul limite, una costrizione sul comportamento che evita gli errori di distrazione ad esempio. Quindi Umberto ci orienta all’interno di una procedura, anche di costruzione linguistica, del fare scultura, in piena epoca post-postmoderna. Due volte post. E al moderno fa l’occhiolino, perché la fattura, direi proprio è quasi da architetto brutalista, sta lì e tiene assieme quel materiale rude che trasmette forza, carattere, uguaglianza, decisione, potenza. Nello stesso tempo è semplice e minimale, dal sapore quasi classico. La scultura come un dispositivo quasi relazionale per mettersi alla prova e far muovere il pensiero a zero emissioni. Una “macchina celibe” industrial che ci accompagna nell’agire nel momento che stiamo fermi. Un gioco rivelatore; saliamo, definiamo uno spazio reale, sei nello spazio, partiamo ma non partiamo e falliamo.
L’opera non è più di fronte allo spettatore, è sotto. Ti guardi i piedi e poi si scende.
(esperienza personale a prova d’errore)
di Luca Scarabelli
Provare A prova di scemo è attivare una nota metodologia per capire cos’è la scultura o comunque per farsi qualche domanda in più sulla sua specificità, sulla dialettica tra materiale spazio e corpo, dopo che la scultura è morta o si dava per morta.
La procedura è questa.
Avvicinarsi alla scultura A prova di scemo e guardarsi attorno (percezione).
Salire sulla scultura A prova di scemo (è diverso dalla proibizione di non toccare la scultura).
Ergersi in equilibrio, abbastanza stabile, e assumere una posa plastica a piacere (freestyle).
Orientarsi nello spazio della scultura (autopercezione).
Mantenere la posizione quanto si vuole ed eventualmente variarla (atto performativo).
Scendere dalla scultura A prova di scemo (distacco).
Guardarsi attorno ancora una volta (interrogazione).
Alternativa per sentire l’assenza del corpo: guardare la scultura A prova di scemo e per non rischiare nulla, allontanarsi (atto conservativo).
A prova di scemo si direbbe una scultura piedistallo, quando la scultura ha abbandonato il piedistallo ormai da tempo. In realtà A prova di scemo mette alla prova l’idea stessa dello stallo. Una forma plastica in stallo? C’è un che di fisico nel provarla per anticipare l’idea di un possibile movimento. Che diciamolo subito non ci sarà.
La scultura, quasi da sempre ed eternamente, a parte qualche risultato che si trova scorrendo il ’900, è da considerare una sorta di paracarro, non si sposta e non si muove, ci si muove intorno invece, puoi starci vicino o lontano, qualche volta dentro, ma lei è sempre lì nello stesso posto.
La scultura di Umberto sottolinea questa tendenza, ma tradendola nella sua attitudine, la strattona e gli dice stop. Gli fa il verso. È ferma, bloccata, ma vorrebbe muoversi. Altre sue sculture si muovono in effetti, con movimenti a volte bruschi e altri lentissimi, altri da accompagnare, altri inaspettati… sopratutto nei lavori in cui misura le distanze tra noi e le cose, tra le cose e lo spazio che occupano attraverso elementi potenzialmente attivi.
Su questi pattini a rotelle, possiamo chiamarla anche così questa scultura in libertà e amicizia (nel tempo Umberto ha usato questi due titoli per indicare questo lavoro), non ci si muove, casomai ci si mette alla prova come stupidi per tentare di muoversi. I pattini di solito quando sono pattini e non interpretazioni di pattini sono protesi del corpo che permettono di accelerare lo spostamento, di accorciare il tempo e lo spazio nell’attraversare i luoghi. Basta non scivolare e non cadere.
Con questi pattini la prova fallisce in anticipo. Sono pattini dell’impossibilità.
Questa impossibilità trasforma il “passeggero” in statua, con la possibilità di muoversi ma stando attenti e fermi sul posto. Si stabilisce un contatto. Ci si fa idealmente centro, sei lì e posi come in una abbozzo. Sei un disegno della scultura, condividi lo stesso spazio, sei un volume della scultura anche se tu non sei “scultura”, nemmeno per un minuto…Intanto ogni lavoro è una coppia di pattini, uno per piede, giusto come ci si aspetta di trovarli. Il richiamo è ai pattini tradizionali ad uso ricreativo, quelli con la disposizione delle quattro rotelle a quadrato che permettono di muoversi sul terreno, correre e fare evoluzioni. La produzione prevede esemplari in acciaio Cor-Ten e altre in marmo di Carrara, all’origine con prototipi in acciaio zincato. Sulla superficie di appoggio è riportato un numero relativo al numero di scarpe (ho provato A prova di scemo con il numero 43½, che poi mi stava leggermente grande, ma era comodo starci su), quindi sono fatti su misura. La posa che ho cercato di interpretare nel mio starci è stata quella un po’ in fissa, a memoria come nelle fotografie di August Sander. Meglio, ne ho cercato l’atteggiamento, la pausa, per non farmi trasportare in situazioni più articolate. Giusto con qualche accorgimento in preparazione all’incontro, con un outfit dedicato che richiamasse uno strano mestiere: t-shirt rovesciata, grembiule macchiato, gambe e piedi nudi. Una cosa oggettivamente alla Sander quindi, con sguardo ieratico e distaccato quanto basta. In quel momento ho pensato che è un’opera che fa muovere lo sguardo, il mondo lo guardi dal suo posto e fissi la percezione. Il peso si alleggerisce, sei sul bordo dell’im-spazio.
Questo lavoro diciamocelo, è un colpo magistrale all’interno dell’opera tutta di Umberto Cavenago. O comunque a me è sempre piaciuto molto, anche il titolo, con quel riferimento sommesso al mondo del lavoro, della produzione e della progettazione cari ad Umberto, a prova di scemo come dire a prova d’errore… una prova sul limite, una costrizione sul comportamento che evita gli errori di distrazione ad esempio. Quindi Umberto ci orienta all’interno di una procedura, anche di costruzione linguistica, del fare scultura, in piena epoca post-postmoderna. Due volte post. E al moderno fa l’occhiolino, perché la fattura, direi proprio è quasi da architetto brutalista, sta lì e tiene assieme quel materiale rude che trasmette forza, carattere, uguaglianza, decisione, potenza. Nello stesso tempo è semplice e minimale, dal sapore quasi classico. La scultura come un dispositivo quasi relazionale per mettersi alla prova e far muovere il pensiero a zero emissioni. Una “macchina celibe” industrial che ci accompagna nell’agire nel momento che stiamo fermi. Un gioco rivelatore; saliamo, definiamo uno spazio reale, sei nello spazio, partiamo ma non partiamo e falliamo.
L’opera non è più di fronte allo spettatore, è sotto. Ti guardi i piedi e poi si scende.
Ritratto di Chris Terzi sui pattini durante l'installazione della sua mostra Donne insolite presso Riss(e) a Varese (30 ottobre - 5 dicembre 2021)
Photo © Umberto CavenagoRitratto di Andrea Pizzari sui pattini
Photo © Umberto CavenagoRitratto di Daniel Fuss sui pattini
Photo © Umberto CavenagoRitratto di Francesco Conti sui pattini
Photo © Umberto CavenagoRitratto di Valentina Bobbo sui pattini
Photo © Umberto CavenagoRitratto di Massimo Forchino sui pattini
Ritratto di Rosalia Pasqualino di Marineo (marzo 2024)
Ritratto di Carlo Dell'Acqua
Ritratto di Mirco Marino sui pattini (marzo 2024)
Ritratto di Elisa Bollazzi - MICROCOLLECTION (marzo 2024)
© Armando della Vittoria
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