Noè sa che ormai è tardi per discutere con il prossimo, quindi si mette subito all'opera
La storia dell'arca di Noè è uno di quei racconti biblici di fatto terribili, ma che per diverse ragioni affascina. Se i bambini restano colpiti dalla colorata rassegna di animali e dalla romantica idea di una barca che galleggia sopra le acque che ricoprono tutta la terra, agli adulti fa sorridere un po' questo Dio iracondo che minaccia di (e poi effettivamente fa) sterminare tutta l'umanità, salvando solo un uomo di seicento anni, la sua famiglia e gli animali.
La narrazione biblica ci mette nella condizione di immaginare una possibile distruzione dell'ecosistema terra.
La Bibbia non considera la fatalità naturale ma parla di responsabilità umana.
Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco, essa corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra. Allora Dio disse a Noè: "È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra" (Gen 6.11-13).
A Noè Dio propone di costruire un modello alternativo sottoforma di Arca per superare l'ecocidio imminente e inevitabile. Il responsabile morale della catastrofe è chiaramente l'uomo. Dio è solo l'agente della distruzione della terra. L'uomo è la causa non per fatalità ma per scelta morale.
Solo alla luce dell'attale livello di evoluzione tecnologica, economica e demografica della storia umana è possibile riconoscere i messaggi della narrazione, occultati in uno stadio di civiltà anteriore, in cui l'inferiorità della potenza dell'uomo rispetto a quella della natura era tale da qualificare come assolutamente irrealistico (mitico) ogni scenario di apocalissi ecologica causata dall'azione umana, nell'attribuzione dell'eventuale occorrenza unicamente a una immane sciagura naturale o alla volontà di Dio.
(Teresa Bartolomei. Dove abita la luce?: Figure in cammino sulla strada della parola (Sestante)
Il racconto epurato dal tono fiabesco contempla la punizione come passaggio, attraverso il giudizio, per il perdono. In mezzo a tutto ciò, il mitico strumento della salvezza della Vita, l'elemento forse più rappresentato di questo complesso episodio nella storia dell'arte, è l'arca: il naviglio salvifico è descritto nel testo biblico come una struttura a forma di cassa in legno di cipresso con tetto spiovente, misurante 300 cubiti in lunghezza, 50 cubiti in larghezza e 30 cubiti in altezza, ricoperto di bitume internamente suddivisa in tre piani e presa di luce dall'alto.
Sweet Home non corrisponde esattamente a queste proporzioni, e sicuramente non si ha intenzione di caricarla di ogni esemplare di specie animale, ma affascina l'idea che, con la barca della Genesi, possa condividere un valore simbolico.
Con la sua struttura blindata ma aperta, ancorata a terra ma in grado di galleggiare qualora le acque salissero, con il suo essere un oggetto scultura parte integrante di un museo e portare "in salvo" le espressioni di creatività in cerca di un rifugio, avendo attraversato non pochi ostacoli e vicissitudini durante il suo percorso verso l'approdo finale, ambisce ad essere quello che anche la nave di Noè diventa, al termine di un viaggio altrettanto travagliato: il segno di una nuova opportunità, di una nuova ripresa che possa anzitutto coinvolgere il territorio abbandonato che la accoglie.
Genesi, Cap. 8
Dio si ricordò di Noè, di tutte le fiere e di tutti gli animali domestici che erano con lui nell'arca. Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si abbassarono. 2 Le fonti dell'abisso e le cateratte del cielo furono chiuse e fu trattenuta la pioggia dal cielo. 3 le acque andarono via via ritirandosi dalla terra e calarono dopo centocinquanta giorni. 4 Nel settimo mese, il diciassette del mese, l'arca si posò sui monti dell'Ararat.
La forma di Sweet Home evoca il racconto biblico del diluvio universale. L'arca di Noè viene descritta dalla Torah come una grande casa galleggiante.
Umberto Cavenago incontra il rabbino Haim Fabrizio Cipriani
Nel corso dei secoli, i viaggiatori diretti verso l'Asia interna, hanno riferito di aver osservato presso la vetta del monte Ararat, nella Turchia orientale, una grande nave o di aver parlato con gente del luogo che aveva affermato di averla non solo vista, ma anche visitata.
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